Tacchino alla Canzanese

Il territorio interessato dalla preparazione di questa pietanza corrisponde a quello dei comuni della vallata dei fiumi Vomano e Tordino e, in misura minore, i territori più nord della Val Vibrata e più a sud della Val Fino.

Questa specialità gastronomica, che prende il nome da Canzano, paese in cui la ricetta ha avuto origine, va servita fredda, tagliata a pezzi sottili ricoperta con la gelatina ottenuta dal suo brodo. La carne ha colore leggermente ambrato, ha sapore sapido e delicato allo stesso tempo.

La preparazione è piuttosto complessa e prevede che il tacchino venga ripulito dalle piume a secco, lavato e disossato soltanto dalla parte dello sterno. Una volta eliminate le ali e le zampe, con l’ausilio di un matterello o di una mannaia vengono frantumate le ossa della schiena. Viene tolto l’osso dell’anca, che verrà utilizzato per la cottura, si pulisce bene la parte posteriore, si apre il tacchino e si procede a una salatura uniforme. Le cosce, incise all’attacco, vengono ripiegate all’interno del corpo e quindi si lega o si cuce il tacchino con uno spago. Lo si adagia in un tegame di terracotta (o in una teglia smaltata da forno) e si aggiungono gli aromi (aglio, alloro e pepe in grani che verrà tolto alla fine), si ricopre d’acqua bollente. Il tegame viene messo in forno (tradizionalmente a legna) a cuocere per circa 5 ore; a metà cottura il tacchino viene girato ed eventualmente si aggiunge acqua bollente. Una volta cotto si scola il brodo di cottura, si tolgono le ossa rimaste e si sistema il tacchino in un tegame versandovi sopra il brodo precedentemente sgrassato; quindi si aspetta che il brodo si raffreddi e si raffermi in forma di gelatina.

Va consumato preferibilmente dopo due giorni e conservato in frigorifero (a una temperatura da O a 4°C.

La prima commercializzazione del tacchino alla canzanese, già diffuso nella cucina popolare di Canzano e comuni limitrofi, è avvenuta negli anni ’30 ad opera del macellaio del paese Domenico Piersanti.

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